Pèsach la Pasqua ebraica tradizionale

Pèsach la Pasqua ebraica tradizionale

Pèsach o Pèsah (פסח) è la Pasqua ebraica (Passover in inglese), una festività che celebra la liberazione del popolo ebraico dall’Egitto e il suo esodo verso la Terra Promessa. Si sovrappone spesso con la Settimana santa cristiana, e dura sette giorni (in Israele e per gli ebrei riformati e progressisti di tutto il mondo) o otto giorni (per gli ebrei ortodossi, conservatori e chassidim nella diaspora).

Quest’anno Pèsach va dal tramonto di mercoledì 8 aprile al tramonto di giovedì 16 aprile. Per entrambe le religioni si tratta di occasioni liturgiche di grande significato, che vanno a toccare i vertici più profondi della spiritualità e della concezione della salvezza.

Il legame con la primavera e la stagione del raccolto

Matrice comune di Pasqua e Pèsach è la primavera. La Pasqua cristiana si festeggia sempre di domenica, giorno della resurrezione di Gesù, e il principio che ne fissa la data, stabilito dal Concilio di Nicea nel 325, è legato al plenilunio: la Pasqua cade la domenica successiva alla prima luna piena di primavera (ossia la prima luna piena dopo l’equinozio di primavera). All’interno della tradizione cristiana ci sono poi due regole differenti in base alle Chiese che utilizzano il calendario gregoriano (cattolici e protestanti) o giuliano (ortodossi). La cena rituale di Pèsach, il seder, viene invece celebrata la notte fra il 14° e il 15° giorno del mese di Nisan, in ricordo della notte che aveva preceduto la liberazione dalla schiavitù in Egitto, come prescrive il libro dell’Esodo: «Lo conserverete [l’agnello] fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta l’assemblea del popolo d’Israele lo ucciderà sull’imbrunire. Prenderanno quindi del sangue e lo metteranno sui due stipiti e sull’architrave delle case dove lo mangeranno. Ne mangeranno la carne arrostita al fuoco, quella stessa notte, la mangeranno con pane senza lievito e con erbe amare» (12, 6-8).

E proprio da questi versetti dell’Esodo (12, 13) ha origine il nome della festività: Pèsach, dal verbo “passare oltre” riferito alle dimore degli ebrei contrassegnate dal sangue dell’agnello, davanti a cui l’angelo della morte sarebbe passato oltre: «E il sangue sarà un segno per voi sulle case dove siete; quando io vedrò il sangue passerò oltre e non vi sarà piaga su di voi per distruggervi, quando colpirò il paese d’Egitto».

Il legame di Pèsach con uno specifico stadio della primavera lo troviamo ancora nel libro dell’Esodo: «Quindi Mosè disse al popolo: Ricordatevi di questo giorno, nel quale siete usciti dall’Egitto, dalla casa di schiavitù; poiché l’Eterno vi ha fatto uscire da questo luogo con mano potente; non si mangerà pane lievitato. Voi uscite oggi, nel mese di Abìb» (13, 3-4). Il vocabolo Abìb (o avìv, אביב) indica l’orzo a una determinata fase di maturazione (letteralmente “spighe d’orzo fresche”), e il mese Abìb è quello della mietitura dell’orzo, la cui primizia doveva essere raccolta in un covone la domenica successiva a Pèsach: «Quando entrerete nel paese che io vi do e ne mieterete la messe, porterete al sacerdote un covone [omer], come primizia del vostro raccolto» (Levitico 23, 10).

Poiché le Scritture avevano stabilito che il mese in cui cadeva la ricorrenza dell’esodo dall’Egitto dovesse segnare l’inizio del nuovo anno («Questo mese sarà per voi il mese più importante, sarà per voi il primo dei mesi dell’anno», Esodo 12, 2), il primo mese del nuovo anno dovesse coincidere con uno specifico livello di maturazione dell’orzo (abìb), se al termine dell’anno l’orzo non era ancora abìb, ossia maturato a sufficienza per portare l’omer al tempio, la fine dell’anno precedente avrebbe subito un’estensione (il mese embolismico, che raddoppiava l’ultimo mese di Adàr, l’Adar Sheni), per mantenere il calendario lunare ebraico in sincronia con l’anno solare. Dopo l’Esilio babilonese, il nome Abìb cessò di essere utilizzato e il mese prese nome di Nisan, primo mese dell’anno secondo il calendario ecclesiastico, settimo secondo il calendario civile (ottavo negli anni embolismici).

La preparazione della casa per Pèsach

Dio prescrisse agli Israeliti di lasciare l’Egitto senza indugio dopo il seder: «mangeranno la carne arrostita [dell’agnello immolato] al fuoco, quella stessa notte, la mangeranno con pane senza lievito e con erbe amare. Non ne mangerete niente di crudo o di lessato nell’acqua, ma sia arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le interiora. Non ne lascerete alcun avanzo fino al mattino; e quel che sarà rimasto fino al mattino, lo brucerete col fuoco. Lo mangerete in questa maniera: coi vostri lombi cinti, coi vostri sandali ai piedi e col vostro bastone in mano; lo mangerete in fretta» (Esodo 12, 8-11). Per ricordare il pane non lievitato che gli Israeliti mangiarono durante l’esodo, è proibito consumare e perfino possedere qualsiasi cibo chametz (lievitato) dalla vigilia di Pèsach fino alla conclusione della Pasqua ebraica: «Per sette giorni mangerete pani azzimi. Nel primo giorno provvederete a rimuovere ogni lievito dalle vostre case, poiché chiunque mangerà pane lievitato, dal primo al settimo giorno, sarà reciso da Israele» (Esodo 12, 15).

Liberare le case dal chametz è per gli ebrei osservanti un processo laborioso, che comporta, nelle settimane prima di Pèsach, un’accurata pulizia. Il chametz rimanente va bruciato il mattino prima della festività. Durante la Pasqua ebraica si mangia quindi matzà, il pane azzimo, preferibilmente fatto a mano, la cui farina è stata protetta dall’umidità dal momento della mietitura e la cui cottura è stata effettuata a mano, sotto stretto controllo: il matzà shmurà.

Il seder di Pèsach: il momento culminante della Pasqua ebraica

Il momento più importante di Pèsach è il seder, la cena, che si osserva le prime due sera della festività (solo la prima in terra di Israele). il vocabolo seder significa “ordine” (inteso come sequenza che scandisce diversi momenti della ritualità ebraica). Gli elementi principali del seder di Pèsach sono: i pani azzimi (matzà), il vassoio (ke’arà), quattro bicchieri di vino a festeggiamento per la raggiunta libertà, l’Haggadà (il racconto) che narra l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto, recitata in ottemperanza all’obbligo biblico: «Quel giorno sarà per voi un giorno da ricordare e lo celebrerete come una festa all’Eterno; lo celebrerete d’età in età come una legge perpetua» (Esodo 12, 14).

Sul vassoio ke’arà sono presenti le seguenti pietanze:

  • lo stinco di agnello o il collo di pollo arrosto (zeroà), a ricordo del sacrificio dell’agnello,
  • l’uovo sodo (betzà), simbolo del sacrificio che si portava al Tempio in aggiunta all’agnello,
  • le erbe amare, gambi di lattuga romana o cren (maròr e chazeret), a memoria delle sofferenze patite in Egitto,
  • l’impasto di mele, pere, noci e vino (charoset), simile nell’aspetto alla malta che, da schiavi in Egitto, gli Israeliti usavano per fare i mattoni,
  • il sedano o prezzemolo (karpas).

Pèsach, Pasqua ebraica e Pasqua cristiana: il rinnovo della speranza

In entrambe le festività, il legame con la primavera – e con il rinnovamento della natura, sia in senso agricolo (la maturazione dell’orzo) che pastorale (le nuove nascite e il sacrificio dei primi agnelli del gregge) – amplifica la promessa di redenzione insita negli eventi storici commemorati: la presenza di Dio si manifesta quindi in duplice veste, nella natura e nella storia.

Elemento fondativo che il popolo ebraico rivive ogni anno a Pèsach, la Pasqua ebraica, è la coscienza di essere una nazione, saldata dall’amara esperienza dell’oppressione e della prigionia nella terra straniera. Il ricordo dell’esodo, soprattutto nei momenti più cupi della storia, ha alimentato per secoli negli ebrei la speranza di una futura ricompensa, ed è per questo che nell’ottavo giorno, Pèsach si conclude con la recitazione dell’Haftarah (lettura dai libri dei profeti) sulla venuta del messia e del suo regno: «Il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo giacerà col capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno insieme e un bambino li guiderà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli giaceranno insieme, e il leone si nutrirà di paglia come il bue. Il lattante giocherà sulla buca dell’aspide, e il bambino divezzato metterà la sua mano nel covo della vipera» (Isaia 11, 6-8).

Se l’ambientazione di Pèsach è l’Egitto, quella della Pasqua cristiana è Gerusalemme durante la Pasqua ebraica. Nell’anno della morte di Gesù, Pèsach cadeva di sabato (quindi la celebrazione iniziava la sera precedente, quella del venerdì, il giorno della parasceve, la preparazione alla giornata di festa).

Secondo il Vangelo di Giovanni, il giorno della morte di Gesù corrisponde quindi con quello in cui – in terra d’Israele – veniva immolato l’agnello («l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà [l’agnello] al tramonto» Esodo 12, 6) e si celebrava, alla sera, il primo seder di Pèsach. Il giorno era il 14 del mese di Nisan, che nell’anno della morte di Gesù cadeva di venerdì. La Risurrezione ebbe poi luogo il primo giorno della settimana (ossia il giorno dopo il sabato), cioè la domenica immediatamente successiva a Pèsach. Ecco quindi che l’Ultima Cena diviene una sorta di anticipazione del seder, e Gesù diventa – sincretisticamente – metafora dell’agnello immolato. Come nel racconto dell’Esodo, la morte di uno (Gesù, l’agnello) salva molte vite.

La centralità di questo messaggio della salvezza in entrambe le religioni ha infine determinato il suo costante rinnovamento nella liturgia di tutto l’anno. Nella Haggadah si legge che il rabbino Elazar ben Azariah capì, in tarda età, che l’esodo dall’Egitto doveva essere ricordato da ogni ebreo due volte al giorno, la sera e la mattina: ecco il motivo dell’aggiunta del brano «Io sono il Signore Dio vostro, che vi ha fatto uscire dalla terra di Egitto per essere il vostro Dio» a conclusione della terza parte dello Shemà (la preghiera che ogni ebreo osservante recita due volte al giorno). Non diversamente, nel mondo cristiano il sacramento dell’Eucarestia rievoca l’Ultima Cena, e rinnova la grazia salvifica di Dio incarnandola nel vissuto.

Commenti

  1. Commento di Valent

    Interessante. Un po’ complicato il rituale ebraico. Per i cristiani molto lineare.
    Cmq Auguri

  2. Commento di Gaetano Pietropaolo

    Gradirei sapere se la Pasqua veniva celebrata contemporaneamente nel regno del Nord, ( Israele ) e in quello del Sud. (Giuda).
    O se nel regno del Nord si celebrava un giorno prima. Matteo 26:17. Grazie.

    1. Commento di Erika Vecchietti

      Caro Gaetano, la Pasqua ebraica è unificata e cadenzata da un calendario liturgico specifico. In Matteo 26:17-29 non si parla di celebrazioni in giorni diversi. Quindi sarei per rispondere che la Pasqua veniva celebrata “universalmente” nel mondo ebraico.

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