La mappa di Madaba, in Giordania, è considerata la più antica rappresentazione cartografica originale della Terra Santa (e di Gerusalemme in particolare). Oltre a essere un eccezionale documento storico, la mappa di Madaba ci guida in un insolito tour di Gerusalemme, attraverso edifici ancora visibili e altri il cui aspetto è mutato nel corso dei secoli o non più conservati. Ne parliamo oggi (ma il contenuto vale sempre!) in occasione della domenica delle Palme, il giorno dell’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, come ci ricorda il Vangelo di Giovanni: «Il giorno seguente, una grande folla che era venuta alla festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui, gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!. E Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra come sta scritto: Non temere, o figlia di Sion; ecco, il tuo re viene, cavalcando un puledro d’asina (12,12-15, Diodati).
La moderna città araba di Madaba, in Giordania, a una trentina di chilometri a sud-ovest di Amman, sorge sulle rovine della biblica Medba o Medeba sulla via Regia, fondamentale rotta mercantile che dall’Egitto portava fino all’Alto Eufrate. Il magnifico pavimento musivo che contiene la mappa, datato all’età giustinianea, tra 543 e 570 e pertinente all’antica basilica bizantina di Medba, raffigura una vasta area che va dal Libano al delta del Nilo (da nord a sud), e dal Mediterraneo al deserto orientale (da ovest a est). Dopo diversi rimaneggiamenti e un lungo abbandono (a seguito di un disastroso terremoto nel 746), il mosaico fu riscoperto durante i lavori per la realizzazione della chiesa ortodossa di San Giorgio, più precisamente nel 1884, rimesso in luce e musealizzato in situ (per circa un terzo della sua estensione conservata, che è di 16 per 5 metri).
Documento cartografico di straordinario interesse per la ricostruzione della topografia della Terra Santa, ancorché lacunoso per via della sua vicenda conservativa, il mosaico di Madaba presenta una mappa orientata non verso nord, come su usa nella moderna cartografia, bensì verso est (in direzione dell’altare): nella parte superiore della mappa troviamo quindi ciò che sta a oriente, secondo quanto avrebbe indicato una bussola, probabilmente per facilitare l’orientamento dei pellegrini in procinto di recarsi in Terra Santa.
Come ci potremmo aspettare da una mappa raffigurante un territorio di altissimo valore simbolico come la Terra Santa, l’elemento topografico più grande e dettagliato è la Gerusalemme bizantina, antica Aelia Capitolina, di cui, come in una vera e propria cartina turistica, sono identificabili i principali siti di interesse nella Città Vecchia.
Una passeggiata nella Gerusalemme di VI secolo
Il nostro insolito tour attraverso la mappa di Madaba inizia dall’estremità sinistra della rappresentazione di Gerusalemme – il nord – con il luogo più vitale della città, la Porta di Damasco (1), uno dei principali accessi alla Città Vecchia, in ebraico Sha’ar Shkhem, Porta di Shechem, presso la strada che conduce all’antica città di Shechem (oggi sito archeologico nei pressi di Nablus) e, da lì, a Damasco. Il nome arabo della porta, Bab al-Amud (Porta della Colonna), indica che nel VII secolo, quando gli arabi conquistarono la città (dopo l’assedio del 637) era ancora visibile, di fronte alla porta, la colonna romana un tempo sormontata dall’immagine dell’imperatore Adriano, fondatore della Colonia Aelia Capitolina. La colonna era il caposaldo da cui si misuravano le distanze sul terreno, come indica un miliario lungo via di Beit Guvrin, a sud della Valle di Elah, con l’indicazione di 24 miglia romane da AEL CAP (Aelia Capitolina, nome della città romana, presente anche sull’architrave di II secolo della porta il cui aspetto attuale risale al 1537, epoca del sultano ottomano Solimano il Magnifico). All’interno della porta si trovava, come si vede nel mosaico, una piazza ovale, scoperta durante gli scavi negli anni Settanta. A sud-est della Porta si trovava (ora non è più conservato) il Palazzo di Eudocia (13), moglie dell’imperatore Teodosio II, donna coltissima e poetessa, che nel 422 fu costretta, dopo l’accusa di avere una relazione col magister officiorum Paolino, ad andare in esilio a Gerusalemme, dove morì (nel 460) e fu sepolta nella basilica del Santo Sepolcro .
Dalla piazza hanno origine due strade, una più orientale (che corre lungo la parte alta della mappa) corrispondente all’odierna via Al Wad/Hagaii, che con il suo andamento curvo collega la Porta di Damasco al Muro Occidentale, l’altra è il cardine massimo (2), la “via dei cristiani”, fulcro dell’urbanistica romana della città, una via colonnata che dalla Porta di Damasco portava a un varco di epoca romana aperto sul perimetro meridionale delle mura, poco più a est del punto in cui, nel 1540, Solimano il Magnifico fece costruire la Porta di Sion (8).
La porta orientale è ora nota come Porta dei Leoni (11), lungo la via Al Wad/Hagaii, che va dalla Città Vecchia alla valle di Giosafat e al Monte degli Ulivi. La Porta dei Leoni è l’inizio della Via Dolorosa, il percorso che Gesù fece dalla prigione al luogo della crocifissione (nel Santo Sepolcro). La porta è nota anche come Porta di Santo Stefano, poiché si trova vicino al luogo della lapidazione del santo protomartire.
Partendo dalla Porta dei Leoni e proseguendo verso sud, il nostro insolito tour di Gerusalemme attraverso la mappa di Madaba incontra il Monte del Tempio (10), un ampio spazio (su cui in epoca adrianea sorgeva un tempio dedicato a Giove e successivamente una basilica dedicata alla Vergine Maria) oggi venerato da tutte e tre le grandi religioni monoteistiche della storia: l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam. Dal VII secolo il Monte del Tempio, o Spianata delle Moschee, è dominato da tre imponenti edifici di periodo omayyade: la moschea al-Aqsa, la cupola della Roccia e la cupola della Catena. Nella tradizione dell’Antico Testamento il Monte del Tempio viene identificato con il monte Moriah, luogo dell’episodio del sacrificio di Isacco, e nel Vangelo di Matteo Gesù, indicandone l’area, preconizzò ai discepoli la distruzione di Gerusalemme e la venuta del Figlio dell’uomo («Non vedete voi tutte queste cose? In verità vi dico che non resterà qui pietra su pietra che non sarà diroccata», 24,1-2, Diodati).
Fuori dalla Porta di Sion (8), all’estremità meridionale della città, sorge il Monte Sion, dove secondo la tradizione hanno sede la tomba del re Davide, il Cenacolo (dove Gesù celebrò l’Ultima Cena) ma anche il luogo della morte e dell’assunzione di Maria in cielo. L’edificio rappresentato sulla mappa di Madaba è la grande basilica di Hagia Sion (Santa Sion) (14), costruita in epoca bizantina all’inizio del V secolo e distrutta dai Persiani nel 614. Ricostruita in epoca crociata, la nuova struttura cadde in abbandono alla fine del regno latino di Gerusalemme. L’attuale basilica della Dormizione di Maria si deve all’imperatore tedesco Guglielmo II che, agli inizi del XX secolo, fece costruire un nuovo edificio di culto, consacrato nel 1910 e costruito sul modello della cattedrale carolingia di Aquisgrana.
A nord-est della Porta di Sion si vede nella mappa la basilica della Nea Theotokos (9), che ci fornisce il terminus post quem per la realizzazione del mosaico di Madaba: fu infatti eretta nel 543 per volontà di Giustiniano come uno dei più grandi complessi dell’impero bizantino e il maggiore di Gerusalemme. Fu distrutta dai Persiani nel 614 e successivamente usata come cava per materiali da costruzione dagli Omayyadi.
All’estremità occidentale delle mura si apre la Porta di Giaffa (6), da cui partivano le vie per Giaffa ed Hebron, al termine del tratto urbano del decumano massimo, il cui incrocio con il cardine massimo era sottolineato da un arco quadrifronte (tetrapylon). A fianco della porta, nella zona più alta della Città Vecchia, sorgeva il Palazzo di Erode I il Grande, re di Giudea dal 37 al 4 a.C. (di cui oggi rimane la Torre di Davide, 7). Il praetorium del palazzo divenne, dopo la morte di Erode, residenza ufficiale dei governatori romani e fu probabilmente il luogo del tribunale di Pilato, in cui fu processato Gesù. Al tempo di Erode sorgevano, secondo la testimonianza di Flavio Giuseppe (Guerra giudaica V, 162-171), tre immense torri: la Torre di Fasael (fratello di Erode, la Torre di Ippico (amico del re) e la Torre di Mariamne (moglie di Erode, Mariamne l’Asmonea, da lui giustiziata per gelosia perché accusata di adulterio da Salomé, fatale sorella di Erode). Queste torri rafforzavano l’angolo nord-ovest della cinta muraria costruita dagli Asmonei alla metà del II sec. a.C. Delle tre torri, solo la massiccia parte inferiore della Torre di Ippico (o di quella di Fasael, secondo alcuni) è sopravvissuta, inglobata nella successiva struttura nota come Torre di Davide (oggi Museo della Torre di Davide).
Nella mappa di Madaba i tetti rossi indicano le chiese: a metà del cardine massimo, non lontano dalla Porta di Giaffa, sorge l’enorme basilica dell’Anastasis (o della Resurrezione), nota anche come basilica del Santo Sepolcro (4) (nella mappa è rappresentata capovolta, come se la vedessimo dal centro della strada), una delle più importanti chiese cristiane di tutto il mondo. Situata al termine della Via Dolorosa (che inizia alla Porta dei Leoni), ingloba quella che è ritenuta la collina del Golgota – il luogo della crocifissione – e il sepolcro ipogeo in cui secondo il Nuovo Testamento fu sepolto Gesù. Oggi il complesso è la sede del Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme (3), che all’interno della basilica ha il proprio Katholikon (5), la propria cattedrale e la propria cattedra. Il suo ruolo di principale polo religioso e meta di pellegrinaggio nella politica giustinianea è simbolicamente espresso dalla centralità che l’edificio occupa nella mappa di Madaba, ed è seguita, nella scala gerarchica, rispettivamente dall’Hagia Sion (14) e dalla Nea (9). I tre complessi dovevano, alla metà del VI secolo, essere collegati da una precisa serie di percorsi processionali.
Conclude il nostro insolito tour di Gerusalemme nella mappa di Madaba la piscina di Betzaeta (12), citata da Giovanni come luogo in cui avvenne la guarigione miracolosa del paralitico da parte di Gesù («Or a Gerusalemme, vicino alla porta delle pecore, c’è una piscina detta in ebraico Betesda, che ha cinque portici» 5,2). Il sito, in cui era presente una piscina già dall’VIII sec. a.C. nominata nel Secondo Libro dei Re (18,17) e nel Libro di Isaia (7,3) fu ampliato nel III sec. a C. con la costruzione di altre vasche, impiegate per lavare gli agnelli prima del loro sacrificio al Tempio. Questo uso peculiare conferiva all’acqua un alone di santità, e molti malati si recavano alla piscina per bagnarsi nella speranza di guarire.