La lunga storia della Befana, ossia la festività dell’Epifania ha origine nei riti propiziatori – tipici delle civiltà agricole – legati ai cicli stagionali dell’agricoltura, che in questo periodo vedevano, con l’allungarsi delle giornate e la progressiva vittoria della luce del sole sulle tenebre seguita al solstizio d’inverno, la speranza del nuovo raccolto.
Nel mondo romano si pensava che la notte tra il 5 e il 6 gennaio, esattamente 12 notti dopo la celebrazione del Sol Invictus (il 25 dicembre), Diana (dea associata non solo alla caccia, ma anche alla fertilità e ai cicli lunari) e le sue ninfe volassero sopra i campi, proteggendo i raccolti. Nello stesso periodo si celebrava Strēnĭa o Strēnŭa, un’antica divinità italica simbolo del nuovo anno, di prosperità e buona fortuna, in occasione delle cui feste ci si scambiavano doni (le “strenne”).
In centro e nord Europa, la Befana richiamerebbe la figura celtica di Perchta, “la splendente” o la “signora delle bestie”, guardiana del mondo animale e della natura nelle antiche culture cacciatrici germaniche (come Diana, la potnia theròn – signora degli animali – del mondo classico), assimilabile a figure come Frigg nella mitologia norrena, Holda nel mondo medievale tedesco, Bertha in Gran Bretagna, Berchta in Austria, Svizzera, Francia e Italia alpina. Perchta è la personificazione femminile dell’inverno, una vecchia gobba dal naso adunco, capelli bianchi e vestita di stracci, che vola di notte sui campi e ne propizia la fertilità.
L’avvento del cristianesimo coincise con la condanna delle ritualità e credenze tipiche dei culti precedenti, ma non riuscì a cancellare molte delle celebrazioni tradizionali, specialmente tra gli abitanti delle zone rurali (non per nulla paganus deriva da pagus, “villaggio”): l’immagine della divinità trasmigrò in quella di una strega benevola, che cavalca una scopa, simbolo della purificazione delle case e delle anime, in vista della rinascita della primavera.
Le origini della Befana si legano inoltre alla vicenda dei Re Magi alla ricerca della grotta di Betlemme, i quali, lungo la strada, si fermarono a chiedere informazioni a un’anziana donna, chiedendole di accompagnarli. Nonostante le loro insistenze, la vecchia rifiutò, ma da lì a poco, pentita del gesto, uscì portando con sé un carico di dolci e regalandoli a tutti i bambini, nella speranza di trovare in uno di essi il piccolo Gesù. Ancora oggi, nella tradizione, la Befana vaga offrendo dolci e doni ai bambini (quelli bravi, perché i discoli ricevono solo carbone e aglio) e loro, in cambio, appendono vecchie calze che la vecchina può utilizzare nel caso in cui, nel corso del viaggio, le sue calze si dovessero bucare.
Nelle varie aree della nostra penisola la figura della Befana è legata al concetto di rinnovamento, nel momento in cui, con l’anno nuovo, si spazza via il vecchio, si attendono i frutti della primavera e si accoglie ciò che è nuovo. Ed è questo il concetto sotteso nell’usanza, in diverse zone d’Italia, di realizzare immagini della Befana per bruciarle in piazza, in una sorta di rito catartico dalle lontane origini pagane.
La lunga storia della Befana ha degli interessanti risvolti anche nella storia del Novecento: la festività dell’Epifania ebbe grande successo durante il fascismo: debuttò nel 1928 come un’istituzione benefica (la Befana fascista), creata per volontà di Mussolini in favore delle classi più povere. Dopo la caduta in disgrazia del suo promotore, Augusto Turati (nel 1934), la Befana fascista divenne la “Befana del Duce“, andando a incanalarsi in quelle celebrazioni volte a esaltare il culto della personalità di Mussolini . Nel 1977 il governo (del pur cattolicissimo) Andreotti la abolì – erano gli anni di piombo e dell’austerity imposta dall’impennata del costo del petrolio – insieme a diversi ponti e ferie. Fu ripristinata nel 1985, dal governo Craxi, in attuazione dei nuovi Patti Lateranensi.