Migranti per necessità, alcuni tra gli italiani minatori in Belgio, che a migliaia nel corso del Novecento hanno varcato le Alpi per cercare lavoro e fortuna nelle miniere di carbone di Liegi, ci hanno lasciato notevoli testimonianze letterarie. Un piccolo capolavoro, Schiena di vetro di Raul Rossetti (Einaudi, 1989 e Baldini & Castoldi, 1995), e l’opera di un istrionico rital divenuto una celebrità in Belgio, suo paese d’adozione, Girolamo Santocono (Rue des italiens, Gorée, 2006, trad. it. di A. Maddalena).
C’era la fame, la miseria e la disoccupazione nell’immediato dopoguerra in Italia quando Raul Rossetti, originario del Veneto, decise di emigrare e cercare fortuna nelle miniere di carbone di Liegi, nel Belgio che fece della richiesta di manodopera straniera cavallo di battaglia per mantenere vivo un settore produttivo, quello dell’estrazione del carbone, anacronistico e rischioso.
Intraprendente, donnaiolo e incapace di sosta, Rossetti, in una picaresca autobiografia che ha meritatamente vinto il Premio Pieve – Banca di Toscana nel 1988, racconta con una prosa icastica e ricca di espressioni mutuate dal gergo e dal dialetto la sua esperienza di emigrante – gli amici scomparsi, le bravate, le avventure sentimentali – da un punto di vista tutto individuale, di chi concepisce il proprio “mestiere”, per disumano, pericoloso, alienante che sia, come vocazione.
Salta agli occhi proprio l’attaccamento che il personaggio-Rossetti sente per il proprio lavoro – e i propri colleghi, umani e animali – e per tutto quanto fa parte di quel microcosmo sotterraneo che è la miniera. Fin dalla sua prima, sempre ricordata, “discesa”, Rossetti prova un senso di fratellanza non solo con minatori e armatori di tutte le nazionalità, ma anche con i cavallini di miniera, fatti scendere da puledri per abituarli al buio e all’angustia dei cunicoli e fatti salire solo per il macello, e con i topi dei cunicoli, per i quali imbastisce una sorta di immaginifico poema cavalleresco. Perché in fondo la mina, quell’intestino di cunicoli che si nutre di carne animale, intrinsecamente attrae, come un gorgo. Chi ha trascorso gli anni migliori della propria vita nel luogo più pericoloso immaginabile, come un astronauta o un artificiere, non può rassegnarsi alla tranquillità. Ed è proprio quello che accade a Rossetti, in nuce in Schiena di vetro, esplicito in Piccola, bella, bionda e grassottella (sequel curioso ma sottotono, Baldini & Castoldi, 1995): il protagonista dichiara esplicitamente la sua incapacità di adattarsi a uno stile di vita che non è il suo. E noi con lui, in fondo.
Non ci sono stati solo, tra gli italiani minatori in Belgio, gli operai giunti da poco nel Paese d’adozione, ma anche i loro figli, che hanno formato una seconda generazione di “ritals” (italiani o di origine italiana nell’argot popolare francese). Rue des italiens, di Girolamo Santocono, è l’autobiografia del figlio di un minatore siciliano, che cresce in un paese straniero di cui si sente parte. Ricorda l’infanzia vissuta a fianco della miniera, tra persone di provenienze diverse ma accomunate dalla una medesima difficoltà di integrazione. Non è la storia di un uomo, ma del confronto tra due generazioni di una comunità in bilico tra l’inclinazione a mantenere le proprie peculiarità, come quella, tipicamente italiana, di coltivare un orto, e il desiderio di sentirsi parte del paese d’adozione.
Rimangono sullo sfondo le vicende tragiche del lavoro in miniera, pur vissute e narrate in prima persona dal narratore-bambino, e il vero fulcro è l’esperienza dei tanti stranieri di seconda generazione in Belgio, che si sentono, a differenza dei genitori, belgi a tutti gli effetti. Emblematico di questo sentimento il ricordo del viaggio in Sicilia, che l’autore non ha mai conosciuto se non nel racconto dei genitori, e che vive come un vagheggiamento, una villeggiatura, trascorsa con la consapevolezza che il futuro è là fuori, all’estero.